SAVA. Si staccano le insegne. Si smonta tutto l’arredo. Muore il Bar Pedro

SAVA. Si staccano le insegne. Si smonta tutto l’arredo. Muore il Bar Pedro

Mezzo secolo di storia savese raccontata dentro, e fuori, da questo locale degno di essere ricordato

A volte il fato, o qualcosa altro, si diverte con i numeri: il Bar Pedro nasce nel 1967 e, guarda caso, dà l’addio nel 2017. 50 anni calibrati, o meglio mezzo secolo come può diventare più comodo, di attività vanno via dalle mura di questo locale commerciale che, quanto a storia del nostro paese ne ha tanta, ma tanta, per davvero da raccontare.

In primis lode ad Antonio Lomartire, chiamato amichevolmente da tutti noi Tonino, che ha portato ai nostri palati gusti nuovi dettati, su tutto, dalla sua capacità di inventiva. Ha riesumato la vecchia e classica puccia, che noi da piccoli chiamavamo “pizzuddu” dove le nostre mamme dopo aver fatto il pane in casa con i rimasugli della farina impastata ci facevano questi piccolissimi formati di pane,  e l’ha impreziosita con ingredienti che ben si amalgamavano tra di loro. Pomodoro, olio d’oliva, melanzane sott’olio, giardineria, provolone, auricchio piccante e diversi gusti di salciccia.

Il tutto sotto un forno a legna che oggi non “fuma” più. Anche lui è stato dismesso. Anche lui ha dato l’addio, forzato, alla legna ardente che sprigionava i suoi fumi ben vistosi quando si arrivava da Taranto e all’orizzonte si poteva ben notare la canna fumaria attiva quasi 24 ore su 24. Si stacca un pezzo di Sava. Quella Sava che quanto a gusti, e a storia, ha da raccontare alle nuove generazioni, molto spesso fugaci e per alcuni con la memoria corta.

Nelle nostre menti restano quelle file interminabili davanti al forno ad attendere il nostro turno per portar via quelle prelibatezze, spesso domenicali, che concludevano il nostro giorno festivo. Le ore passate dinnanzi alla saletta attigua al forno e al banco di preparazione delle pucce spesso testimoniavano la pazienza, e l’attesa, inclusi gli enormi sbadigli. Gli occhi li puntavamo tutti su di lui.

 

Erano gli anni del boom economico. Erano gli anni che vedevano lo spopolamento delle nostre campagne. Erano gli anni che l’emigrazione verteva su tutto.

E il nuovo centro siderurgico tarantino ingrossava le file dei savesi che per la prima volta, dico per la prima volta, vedevano uno stipendio. Ma Tonino era lì. Sempre pronto dietro al bancone di preparazione in modo quasi maniacale, della serie “le pucce le devo riempire io o niente”.

Da quando apriva la puccia fumante appena uscita dal forno fino a quando la riempiva l’operato era tutto suo. Notavamo tutto in questa operazione. Instancabile, quasi al di sopra dell’umano, Tonino è stato un grande lavoratore ed era impressionate il modo di come tagliava i pomodori, o il provolone o gli altri ingredienti che alloggiava nella puccia. Sembrava che ci fosse una certa sintonia tra gli ortaggi  e i salumi che passavano sotto al suo coltello. Tagli millimetrici quasi. Altro che affettatrice. E a volte, osservandolo bene, si aveva per davvero il timore che qualche polpastrello o falange da un momento all’altro poteva benissimo abbandonare le dita di Tonino. Certamente non era solo la puccia il richiamo per molti.

Le pizzelle filanti, i panzerotti o le polpette fatte con carne di cavallo con pangrattato prezzemolo e aglio. Le file dei savesi erano sempre folte. Anni, anzi decenni, che hanno segnato la puntualissima apertura prima delle luci dell’alba con la tardiva chiusura serale che quasi dava il cambio all’apertura della saracinesca alla levata del nuovo giorno. Il Bar Perdo era sempre lì. Spesso e volentieri i forestieri quando passavano da Sava per loro era quasi obbligatorio fermarsi al Bar Pedro o al panificio “La potenza” e prendere ciò che piaceva. Il Bar Pedro è stato una vera e propria istituzione locale. Tonino, pur con il cambio dei tempi in virtù di nuovi gusti generazionali, ha sempre mantenuto fede alla sua creatura: la puccia alla vampa, termine questo che veniva trasformato in “puccia all’ampa”, molto probabilmente dettato dalla fiamma che usciva dal forno a legna che vedeva ardere la legna di olivo.

Il Bar Pedro è stato crocevia di tanto a Sava: incontro di braccianti con i datori di lavoro per le nostre campagne. Culmine era il periodo delle vendemmie dove era per davvero difficile trovare braccianti per la classica giornata lavorativa. Braccianti con le loro sigarette “Nazionali” e la classica miscela bianca o nera. Bianca con caffè e anice. Nera, sempre con caffè, e San marzano. O compratori esterni di uve che trattavano l’acquisto di diversi quintali, e a volte anche di tonnellate, di uva appena vendemmiata.

Il Bar Pedro registrava tutto questo, ma in chiave economica. Tragici furono la fine degli anni ’80 con l’inizio degli anni ’90. Allora nel tarantino si accese lo scontro tra la ‘ndragheta calabrese, che vedeva come referente Antonio Modeo (detto il messicano) e la Sacra Corona Unita del mesagnese  Giuseppe Rogoli, questa ultima organizzazione criminale nata proprio per contrastare i primi tentativi di insediamento ‘ndranghetista nella Puglia. La nostra regione, o meglio il nostro Salento, veniva visto come terra di conquista da parte delle organizzazioni criminali. E da qui lo scontro portò decine di morti sul selciato e Sava, allora, dalla stampa locale veniva nominata “città di frontiera”. Spaccio di droga, contrabbando, estorsioni erano i temi che i criminali cominciavano a piantare nel nostro paese ma anche nei paesi limitrofi.

Anche Sava registrò allora i morti per regolamento di conti di stampo camorristico. Fu il 33enne Paolo Cantarone, sorvegliato speciale di polizia, il primo a cadere sotto i pallettoni di un fucile a canne mozze nel Bar Pedro. Seguirono, in altri luoghi del paese, le morti dei savesi Angelo De paolis,  Raffaele Malandrino, Fernando De muro anche loro colpiti dal fucile a canne mozze. Erano anni brutti, per davvero. Troppa paura in giro per il paese, specie nel primo pomeriggio quando calavano facce nuove e per nulla rassicuranti. E in quelle ore il paese sembrava assente.

E il Bar Pedro era sempre lì. Con le sue pucce e le sue prelibatezze quasi a voler dire che la vita va avanti lo stesso. Sul suo marciapiede c’erano i soggetti che hanno fatto parte della storia del nostro paese: braccianti, muratori, sottoproletari urbani e suburbani e anche facce simpatiche che, a volte, li invidiavamo per quella loro calma nel vederli stare lì fermi e immobili. Andando ai giorni nostri, ma per l’esattezza da qualche mese a questa parte, circolava la voce che era in vendita il Bar Pedro.

Voce questa che prendeva consistenza. Il buon Tonino senz’altro si sarà stancato, comprensibilissimo questo, e dopo aver dato 50 anni della sua vita a questa attività commerciale ha pensato bene che era ora di dedicarsi alla sua salute. Giustissimo questo. Smontate le insegne, smantellato l’arredo intero e questo ci fa capire che il Bar Pedro è nato ed è morto, commercialmente parlando, con Antonio Lomartire.

Ciao Tonino, buon tutto. Ma buone le tue straordinarie pucce e, su tutto, quelle meravigliose polpette saporitissime di carne di cavallo con gli aromi marcati di prezzemolo e aglio non le scorderemo mai.

Giovanni Caforio

 

 

viv@voce

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