RACCONTI / 25. “Ma tu ièri vetri a edda comu li sta giuaua!”
Curioso questo fatto, successo 30 anni fa …
Un manovale savese di mezza età aveva sempre lavorato dentro Sava al servizio degli artigiani edili del nostro paese. Un giorno un impresa locale prende un lavoro presso una marina tarantina. Satùro per la precisione. Era la prima volta che il nostro manovale usciva fuori dalle mure amiche e Sava per lui era stato il suo unico riferimento lavorativo e familiare. Satùro in chiave di lettura si chiama Taranto per la massima, quindi cittadini tarantini che avevano le loro proprietà attaccate quasi alla città jonica. Il nostro manovale era di vedute limitate, molto limitate. Vergognoso, timido, insomma di poche parole.
La sua vita non andava oltre Sava. Bene, andiamo al racconto. Curiosissimo. L’impresa stava erigendo un muro di cinta in conci di tufi di circa un metro e mezzo di altezza. Il nostro portava l’impasto agli artigiani nelle calderine che allora erano di metallo. In questo andare e rivieni, in quanto il bidone dell’impasto era lontano da dove stavano lavorando di circa 20 metri, nota due ragazzi, un maschio e una femmina, che a bordo di una moto da cross si fermano a una decina di metri dal contenitore dell’impasto e davanti ad un albero maestoso i due cominciano a scambiarsi effusioni.
Il nostro resta sbalordito dal comportamento dei due ragazzi che, non curanti della sua presenza, proseguono nel loro intento. Il nostro accelera il ritorno verso i maestri che stavano lavorando e dice loro: “Li murtacci loru. Filu ritegnu tennu verso ti mei”.
A questa affermazione, un artigiano gli risponde: “Cà cè jiè successu?”
Allora il manovale racconta ciò che aveva visto.
Un altro diceva a lui che non doveva scandalizzarsi in quanto questi residenti del posto sono abitanti della città e la città è sempre più evoluta rispetto ai nostri paesini. “Di cosa ti devi scandalizzare più?”
“A proposito” dice un altro “lei si stava ferma?”
“Cè ferma e ferma!” dice il nostro.
Un altro dice: “Cioè?”
Il manovale risponde: “Ma tu ièri vetri a edda comu li sta giuaua!”