DEAGLIO: “LA MORTE DI PAOLO BORSELLINO RIENTRAVA BENISSIMO NEGLI ACCORDI TRA STATO E MAFIA”
Incontro con Enrico Deaglio, giornalista italiano, dalla medicina al giornalismo a cosa è dovuto questo?
Io facevo il medico in ospedale ma erano gli anni settanta in cui c’era molta militanza quindi ad un certo punto ho dovuto scegliere fra fare il militante o lavorare in un giornale che si chiamava Lotta Continua o fare il medico. Ho preso un anno di aspettativa e poi gli avvenimenti mi hanno portato dall’altra parte e ho fatto il giornalista.
Quindi lasciate le “armi” scientifiche sei passato alle materie umanistiche. A soli 30 anni direttore di Lotta Continua, quell’esperienza com’è stata?
E’ stata decisamente una grande esperienza, avevamo quello che si chiamava un giornale di un movimento, aveva attaccata un’eccezionale carica di emozioni sia per le persone che lo leggevano sia per quelli che ci scrivevano: per tutto. Da questo punto di vista c’era anche un enorme peso di responsabilità, le parole che si dicevano lì erano importanti. Fu un giornale che incrociò il famoso movimento del settantasette, c’era un enorme dibattito sulla violenza, sulla lotta armata e fu anche il giornale che ebbe un ruolo importante durante il rapimento di Moro perché si schierò apertamente per una trattativa che naturalmente non ci fu. Io ho un ricordo, ancora adesso, carico di emozione.
Chiusa l’esperienza di Lotta Continua ne comincia un’altra: L’ Unità, La Stampa, Il Manifesto. Abbracciando altri giornali, altri editori il pensiero di Enrico Deaglio è stato sempre libero, autonomo o circoscritto?
Direi libero, sono stato un privilegiato nel senso che ho potuto scrivere sempre quello che volevo e i giornali che mi hanno ospitato l’hanno fatto sapendo questo. Può darsi che con l’età si possano cambiare le proprie idee ma non credo, francamente penso di avere lo stesso atteggiamento che avevo trent’anni fa.
Carta stampata sospesa comincia l’esperienza televisiva che differenza ha trovato nei due modo di fare comunicazione?
Io non vado pazzo per la televisione, mi sono occupato di conduzione giornalistica, poi ho fatto delle inchieste dei documentari e mi piacciono le possibilità che offre, mi piace il fatto che la vedano tante persone però mi piacciono di più i lavori che possono essere fatti in pochi, tendenzialmente in uno solo. Effettivamente la televisione ha quel problema: bisogna vedere in che orario si va in onda e fare attenzione a questo e a quello, ci sono un sacco di condizionamenti per cui il livello di libertà è inferiore. Sono stato liberissimo anche lì ma in generale il livello di libertà è inferiore.
Passiamo all’esperienza libraia, diversi testi, diversi liberi: un libro è sempre un segno dei tempi?
Penso di si, indubbiamente perché chi lo scrive vive in quel tempo ed è sicuramente influenzato da molte cose, per i temi che sceglie sicuramente, per le cose che mette in campo.
Enrico Deaglio cosa l’ha spinta a questo libro inchiesta sulla morte di Borsellino?
Io vivo metà dell’anno negli Stati Uniti però mi tengo in contatto: leggo. Ad un certo punto ho letto, in una notizia di una riga, che il nuovo pentito del caso Borsellino che si chiama Spatuzza aveva indicato, dopo vent’anni, il nome della talpa che aveva aiutato la mafia a mettere la bomba in Via D’amelio. Questo nome era :Salvatore Vitale ed era un nome di un mafioso molto importante che io conoscevo, che tutti conoscevano e rimasi veramente indignato del fatto che ci volesse Spatuzza per scoprire che questo Salvatore Vitali abitava nel palazzo della madre di Borsellino, c’era il suo nome sul citofono e nessuno aveva pensato di indagarlo. Sulla base di questo ho iniziato a scrivere e l’ho scritto in un tempo brevissimo, un mese. Vent’anni dopo è una storia che viene spinta da una sorta di indignazione soprattutto per la capacità che c’è stata in questo Paese di creare un falso, un depistaggio durato vent’anni e farlo accettare a tutta l’opinione pubblica come se fosse una verità.
Se io azzardassi un’ipotesi assurda: la morte di Borsellino poteva rientrare negli accordi tra Stato e Mafia?
Assolutamente si. La parola figlia dei tempi adesso è trattativa, parola che fino a poco tempo fa sembrava impossibile da sostenere, si dice che tutti abbiano partecipato. Se questa è l’ottica la morte di Borsellino era il centro della trattativa, Borsellino era una persona che entrambi i contraenti avevano interesse ad eliminare perché sarebbe stata la persona che avrebbe impedito la trattativa. Questo è il fulcro, l’episodio più importante che rende tutta la questione più tremende: l’idea che in una trattativa alla quale abbiano partecipato grossi esponenti dello Stato sia stata contemplata la strage, l’eliminazione fisica di Borsellino.
In questo libro oltre a questa determinazione di inchiesta giornalistica, che è anche veritiera in base hai fatti, che altri aspetti ha colto Enrico Deaglio?
Due cose mi hanno interessato: una è un aspetto della città di Palermo, della famosa contiguità, il fatto che la mafia, l’antimafia e i cittadini fanno parte dello stesso elemento, tutti si conoscono, tutti si frequentano, è un aspetto singolare di questa città. Due come è stata possibile una tale solitudine da parte di Paolo Borsellino. Son passati vent’anni ma leggendolo adesso ci si rende conto di quanto fosse preistorico il tempo che si viveva riguardo a questi temi.
Poi c’è questo disinteresse che tutti abbiamo avuto per questa vicenda per cui ci andava bene tutto, ci andava bene un colpevole, ce ne andava bene un altro: non faceva nessuna differenza. E’ l’esempio, ancora, di quanto la costruzione di un falso necessiti di così tante persone: quelli che lo costruiscono, quelli che lo accettano, gli acquiescenti, quelli che si dimenticano. E’ uno studio sulla società anche, sul modo in cui siamo fatti, in cui viviamo.
Ultima domanda: Taranto, la questione ambientale, l’Ilva, cosa pensa di quelle aree?
Penso che se se abbiamo applaudito, come io ho fatto, alla sentenza che c’è stata per la Thyssenkrupp e se abbiamo applaudito alle sentenza che c’è stata per la Eternit, per l’amianto, dovremmo dire la stessa cosa per quel che riguarda l’Ilva. E che i rischi alla salute quando sono documentati, com’è successo, l’ omicidio programmato, che viene fatto per il modo in cui funziona questa acciaieria, provoca la morte e questo deve essere impedito.
Giovanni Caforio