Angela Petrachi. Il Delitto di Melendugno. La condanna di Giovanni Camassa è un errore giudiziario?
Il caso del delitto di Angela Petrachi, che ha sconvolto non solo Melendugno e la provincia di Lecce, ma anche tutta Italia. Di lei si è interesatta il programma di Rai3: “Chi l’ha Visto?”
Se ne occupa Antonio Giangrande, noto autore di saggi pubblicati su Amazon, tra cui “Giustiziopoli, disfunzioni che colpiscono il singolo”, “Malagiustiziopoli, disfunzioni che colpiscono la collettività”, oltre che “Tutto su Lecce, quello che non si osa dire”. Libri che raccontano questa Italia alla rovescia. Giangrande per una scelta di libertà si pone al di fuori del circuito editoriale. Libri dettagliati che fanno la storia, non la cronaca, perché fanno parlare i testimoni del loro tempo. «Sono orgoglioso di essere diverso. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Faccio mia l’aforisma di Bertolt Brecht. “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”.
Rappresentare con verità storica, anche scomoda, ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Continua Antonio Giangrande «E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra.
Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale. Le vittime, vere o presunte, di soprusi, parlano solo di loro, inascoltati, pretendendo aiuto. Io da vittima non racconto di me e delle mie traversie. Ascoltato e seguito, parlo degli altri, vittime o carnefici, che l’aiuto cercato non lo concederanno mai. Faccio ancora mia un altro aforisma di Bertolt Brecht “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”. Bene. Tante verità soggettive e tante omertà son tasselli che la mente corrompono. Io le cerco, le filtro e nei miei libri compongo il puzzle, svelando l’immagine che dimostra la verità oggettiva censurata da interessi economici ed ideologie vetuste e criminali.
«Del delitto di Angela Petrachi – racconta Giangrande – ne dava conto il 9 novembre 2002 lo stesso Corriere della Sera a firma di Roberto Buonavoglia. “I genitori pensavano che fosse fuggita, forse con un uomo. L’ hanno cercata per 5 giorni prima di dare l’ allarme. Ieri mattina, invece, Angela Petrachi, 31 anni, separata e madre di due bambini, è stata trovata morta da un cercatore di funghi in un boschetto di querce alla periferia di Melendugno, 15 chilometri da Lecce. Aveva la gonna arrotolata sui fianchi. Nessuna traccia degli indumenti intimi. Gli abiti, invece, erano strappati ma erano gli stessi che la vittima indossava il giorno della scomparsa, il 26 ottobre, quando lasciò i figli di 7 e 11 anni nella casa materna dicendo: «Torno subito».
Sul cadavere il medico legale che oggi compirà l’autopsia, Alberto Tortorella, ha riscontrato tante sevizie da far dire agli investigatori che «il killer si è accanito sul corpo della povera donna». Angela Petrachi sarebbe stata attirata in una trappola dall’assassino, che quasi certamente conosceva. Forse l’uomo ha tentato di violentarla e lei ha resistito. L’ha colpita al volto con un bastone o una pietra, ha messo il corpo faccia in giù e l’ha trascinato per alcuni metri fino a nasconderlo dietro un cespuglio. Poi, prima di fuggire, l’assassino ha infierito sul cadavere. Uno sfregio, secondo i militari, che farebbe pensare a un delitto a sfondo sessuale forse riconducibile al giro di frequentazioni della donna. Proprio su conoscenti e amici di Angela Petrachi indagano ora i carabinieri che stanno controllando i tabulati delle schede telefoniche della donna e stanno scavando nella sua vita privata. La vittima, che svolgeva lavori saltuari, era separata da due anni dal marito, un militare al quale la famiglia non aveva perdonato di aver sposato Angela. Dopo la rottura del matrimonio la donna aveva frequentato un altro uomo che, alla fine della relazione, l’aveva denunciata sostenendo che la 31enne teneva comportamenti diseducativi con i figli.
Per questo i due bambini erano stati affidati per 5 mesi a un istituto di Oria (Brindisi), fino al ritiro della denuncia. E proprio per impedire che alla donna venissero sottratti di nuovo i bimbi i suoi genitori hanno aspettato 5 giorni prima di denunciarne la scomparsa. Una perdita di tempo forse fatale: un testimone ha detto ai carabinieri di aver visto la donna 24 ore dopo la scomparsa.” Angela Petrachi viveva a Melendugno, con i figli di 5 e 7 anni. Alle 14.30 di sabato 26 ottobre 2002, dopo aver pranzato con i figli in casa dei propri genitori, si allontanò dicendo che sarebbe andata per un’ora a casa sua e poi sarebbe tornata in tempo per accompagnare il figlio maggiore al catechismo. Ma questa evoluzione dei fatti non si verificò mai. Giovedì 31 i genitori di Angela vennero avvisati che l’auto della figlia si trovava nello spiazzo adiacente il campo sportivo, con la ruota posteriore destra a terra per un chiodo conficcato nel copertone. All’interno i documenti dell’auto e il giubbino. Secondo alcune testimonianze sarebbe stata parcheggiata lì fin dal pomeriggio di sabato. I documenti di Angela vennero ritrovati un paio di giorni. Non si seppe più nulla fino alle 8,30 circa di venerdì 8 novembre, quando il corpo di Angela venne trovato da un cercatore di funghi.
Era in un boschetto, nelle vicinanze della strada su cui erano stati rinvenuti i documenti e la borsa. Indossava ancora i vestiti che aveva quando era uscita dalla casa dei genitori. Le indagini dei carabinieri si concentrarono da subito sull’ex fidanzato della donna al quale Angela, quel sabato 26 ottobre, aveva inviato ben 14 messaggi, tra le 17 e le 23. Nonostante tutto questo, invece è stato condannato Giovanni Camassa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due si erano dati appuntamento per l’acquisto di un cane ma l’incontro ben presto degenerò. Come accertato dal medico legale, Angela fu vittima di uno stupro, poi soffocata con le sue stesse mutandine e infine accoltellata. Di quel delitto fu accusato e condannato in via definitiva il 26 febbraio 2014 Giovanni Camassa. La corte di Cassazione ha confermato la condanna alla pena dell’ergastolo per Giovanni Camassa, l’agricoltore 45enne ritenuto responsabile dell’omicidio di Angela Petrachi, la 31enne uccisa brutalmente nell’ottobre del 2002 nelle campagne di Melendugno (Lecce).
I giudici di primo grado avevano assolto l’imputato per non aver commesso il fatto; in appello, invece, l’imputato fu condannato al carcere a vita. Angela Petrachi, madre di due figli, uscita dalla casa dei genitori nel primo pomeriggio del 26 ottobre 2002, scomparve nel nulla. Il suo corpo venne ritrovato solo la mattina dell’8 novembre da un cercatore di funghi. L’autopsia rivelò che la donna era stata violentata, strangolata con i suoi slip e seviziata con la lama di un coltello. Secondo l’accusa, l’imputato e la vittima si sarebbero incontrati nel pomeriggio del 26 ottobre per discutere dell’acquisto di un cane. Durante l’incontro, però, la situazione sarebbe degenerata e l’uomo, colto da un raptus forse perchè invaghito della donna, avrebbe aggredito Angela Petrachi uccidendola. Carcere a vita. E’ il verdetto emesso dai giudici della Suprema Corte dopo circa quattro ore di camera di consiglio.
Ci sono voluti la sbobinatura di 400 file, la ripulitura di centinaia e centinaia di intercettazioni, un lavoro meticoloso da parte dell’ingegnere informatico Luigina Quarta e una nuova istruttoria dibattimentale per riscrivere una nuova inaspettata verità nel processo istruito per fare luce sull’omicidio di Angela Petrachi, avvenuto il 26 ottobre del 2002. I giudici di secondo grado, Presidente Roberto Tanisi, a latere Rodolfo Boselli, condannarono all’ergastolo il presunto assassino, Giovanni Camassa, 44enne di Melendugno, assolto in primo grado per non aver commesso il fatto dopo aver trascorso due anni e mezzo di carcere. Camassa si è sempre giustificato affermando che quel giorno si trovava in compagnia della propria compagna, ma gli accertamenti tecnici avrebbero ribaltato l’impianto difensivo costruito dall’avvocato difensore Francesca Conte che aveva evidenziato come non vi sarebbe mai stato un movente e fatto notare l’esistenza di rapporti burrascosi tra la donna e il suo ex marito, tanto che la Petrachi presentò anche una querela. I figli di Angela erano assistiti dall’avvocato Tiziana Petrachi.
Dopo la pronuncia della colpevolezza ribadita, in via definitiva, dalla Cassazione i carabinieri della Stazione di Martano hanno arrestato Giovanni Camassa, 47enne, in ottemperanza all’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Lecce, in seguito alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione per l’omicidio di Angela Petrachi. Camassa, dopo le formalità di rito è stato tradotto alla Casa Circondariale di Lecce dove dovrà scontare la pena. Il ricorso alla Suprema Corte era stato presentato dall’avvocato difensore Francesca Conte, che ha sempre insistito sull’inesistenza di un movente che potesse spiegare il brutale assassinio. L’autopsia permise di stabilire che la giovane era stata violentata, strangolata e seviziata. A distanza di poco tempo i sospetti degli inquirenti si concentrarono su Giovanni Camassa, con il quale la Petrachi aveva un appuntamento il giorno della sua scomparsa per concordare l’acquisto di un cane.
Al termine del processo di primo grado l’uomo fu assolto, mentre in Appello arrivò la condanna all’ergastolo da parte dei giudici a cui poco convincente risultò anche l’alibi fornito dal presunto assassino, che ha sempre sostenuto di avere trascorso il pomeriggio del 26 ottobre con la donna che in seguito diventò sua moglie. L’accusa ha analizzato e confutato l’alibi dell’imputato, dimostrando, attraverso riscontri di natura tecnica che, secondo il pubblico ministero hanno evidenziato come le “risultanze delle consulenze di parte siano prive di significato”, che l’imputato e la moglie non erano insieme in quel tragico pomeriggio macchiato di sangue. Camassa, infatti, ha sempre affermato che quel triste giorno di ottobre era proprio in compagnia di quella che sarebbe poi divenuta sua moglie, Moira Flamini. Un passaggio fondamentale questo. La difesa di Camassa, rappresentata dall’avvocato Francesca Conte, aveva presentato ricorso in Cassazione.
La penalista leccese ha sempre evidenziato come non vi fosse un movente dell’omicidio. Non sarebbe mai stato concordato, infatti, alcun incontro per l’acquisto di un cane, come sostenuto dall’accusa. Nella denuncia di scomparsa non vi è alcun riferimento, né nella successiva integrazione. La vicenda relativa al cane emergerebbe sol alcuni mesi dopo. Quel pomeriggio Angela Petrachi avrebbe dovuto incontrare, con ogni probabilità, due amiche. Una testimone, ritenuta inspiegabilmente inattendibile ha spiegato la difesa, vede alle 14.50 la donna salire su una Lancia Thema blu. L’avvocato Conte ha poi evidenziato come i rapporti tra la 31enne e l’ex marito fossero a dir poco burrascosi, tanto che la stessa aveva in passato presentato una querela nei suoi confronti. Appare singolare, secondo la nota penalista leccese, come l’alibi dell’uomo sia stato verificato telefonicamente, contattando una donna che, secondo la sua versione, era con lui quel pomeriggio.
Tesi e ipotesi che non hanno trovato riscontro nei giudici, che hanno deciso di scrivere le parole “fine pena mai” sul fascicolo di Giovanni Camassa. A sollevare l’interesse sul caso ci ha pensato il nipote di Camassa che ha chiesto il mio aiuto, certamente non per risolvere il caso, né per porvi giustizia, incarico delegato alle toghe, magistrati ed avvocati, ma per sollevare un velo pietoso sulla spinosa vicenda. Testimonianza che è già stata riportata dal tg di Telenorba il 12 marzo 2014 e da un articolo sullaGazzetta del Mezzogiorno del 13 marzo 2014. Egli mi scrive: “Sono Francesco Di Cianni, Vi scrivo da Martignano, piccolo Comune della Provincia di Lecce, per illustrarVi una situazione gravissima e che vede protagonista un uomo, mio zio, detenuto ingiustamente per quasi 4 anni, e cosa ancor più grave, condannato all’ergastolo in via definitiva, al termine di un Processo quanto mai strano e anomalo, che non ha tenuto in considerazione aspetti fondamentali e prove che, “senza ogni ragionevole dubbio“, se fossero state considerate, avrebbero dimostrato l’assoluta innocenza ed estraneità ai fatti di quella che invece appare essere solo un caprio espiatorio a protezione di chissà chi o quale persona, invece evidentemente più influente di un normalissimo cittadino onesto, che ad oggi è invece libero ingiustamente!
I fatti, brevemente, e che avremo modo sicuramente di affrontare e spiegarVi più nel dettaglio attraverso tutte le carte processuali, riguardano l’omicidio di Angela Petrachi, avvenuto nel 2002 in un Comune della medesima provincia di Lecce, Melendugno, e per il quale è stato condannato per l’appunto mio zio, Giovanni Camassa, senza nessuna prova e anzi con molti punti interrogativi e sospetti. A parziale dimostrazione di ciò, era stato anche assolto con formula piena per non aver commesso il fatto in primo grado in Corte di Assise dal Giudice Giacomo Conte. Lo stesso Giudice infatti, al tempo dei fatti, dispose anche la scarcerazione immediata dell’imputato. L’amara sorpresa giunse però in Corte d’Appello, dove, come per magia, venne ribaltata la sentenza di primo grado (che venne commutata in ergastolo, il massimo della pena prevista dal Codice Penale Italiano, e che non viene comminata nemmeno ai Mafiosi, ma che evidentemente nel caso di mio zio doveva cancellare in fretta il reato dalle spalle del vero esecutore, molto più influente di un povero e comunissimo contadino leccese), e la definitiva doccia fredda in Cassazione, il 26/02/2014, con la riconferma dell’ergastolo in capo al mio congiunto.
La cosa eclatante non sta nella condanna in sé (non sarebbe il primo caso di mala giustizia italiana, e forse neanche l’ultimo nostro malgrado), ma nel fatto che nei gradi successivi al primo non sono state prese in considerazione prove eclatanti (una su tutte la perizia del R.I.S. che scagionava l’imputato, e lo stesso Capitano del R.I.S. che scriveva testualmente nella relazione “…..escludiamo Giovanni Camassa dall’ipotesi che avesse potuto commettere il fatto.”), o testimonianze di persone che confermavano l’alibi di mio zio. Al tempo stesso, non sono stati presi in considerazione fatti importanti e sicuramente decisivi al fine dell’esito processuale (se appunto considerate), quali le denunce per percosse alla povera vittima antecedenti il suo omicidio, o posizioni di persone quanto meno sospette che dalle 17.00 alle 23.00 ricevevano messaggi da parte della Petrachi anche dopo la presunta morte (che secondo l’accusa è avvenuta intorno alle 13.00) e la presenza del loro DNA sul corpo della vittima e le quali ad oggi sono libere e le cui posizioni non sono mai state affrontate processualmente!
Da ultimo abbiamo la testimonianza di nuove persone che finalmente sembra abbiano trovato la forza di testimoniare a favore di mio zio, dopo anni di terrore e paura per la loro incolumità.”. Ben venuto nel club, direi a Francesco ed a tutti i disillusi da questa giustizia. Peccato che a contarli tutti vien l’orticaria. Ben 5 milioni di errori giudiziari ed ingiuste detenzioni negli ultimi 50 anni. Se sembran pochi per alimentare un dubbio su come funziona la giustizia in Italia, vuol dire che vale il detto già richiamato: “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”.
.