Rivelazioni. Riina confessa: “Berlusconi ci pagava 250 milioni, ogni sei mesi
Le rivelazioni del boss, in carcere a Opera: dal “patto di protezione” a Dell’Utri definito come “una persona seria”
Salvatore Riina, durante la sua consueta passeggiata pomeridiana, ride e ironizza su Silvio Berlusconi. In un primo momento, prende in considerazione i famosi “festini in Sardegna e in Puglia”, mentre, con la facezia “Mubarak Mubarak” fa riferimento alla versione data dall’ex Premier su Ruby, nipote del Presidente dell’Egitto, commentando: “Che disgraziato, è un figlio di puttana che non ce n’è”. Le risatine continuano, fino a quando non inizia a parlare, con un tono di voce molto più serio, degli anni ottanta e novanta, senza tralasciare o dimenticare il “fulcro” di tutto ciò. Il capo di Cosa Nostra, quindi, mettendo da parte sarcasmo e preoccupazioni, spiega al pugliese Alberto Lorusso, durante l’ora d’aria: “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”. E, ovviamente, una frase del genere non poteva non finire tra le intercettazioni disposte dai pm di Palermo nel processo “trattativa”.
Riina, per la primissima volta, rivela il modo in cui si articolò il “patto di protezione”, accertato in maniera definitiva, dalla Cassazione, con il mandato dell’ex senatore, Marcello Dell’Utri, in carcere, il quale svolgeva l’importante ruolo di intermediario tra i vertici della mafia.
La storia di una lunga stagione, argomentata da Riina, il 22 agosto dello scorso anno, in questo modo: “E’ venuto, ha mandato là sotto ad uno, si è messo d’accordo, ha mandato i soldi a colpo, a colpo, ci siamo accordati con i soldi e a colpo li ho incassati”.
A differenza, invece, di come è emerso durante i processi che andò a Catania. Il capo di Cosa Nostra conferma col dire: “Gli hanno dato fuoco alla Standa ed i catanesi dicono: ma vedi di…. Non ha le Stande? Gli ho detto: da noi qui ha pagato…così li ho messi sotto. Gli hanno dato fuoco alla Standa… Minchia aveva tutte le Stande della Sicilia. Gli ho detto: bruciagli la Standa”.
Il fulcro basilare che, secondo i pm, vale più di tutti i racconti pentiti al processo Dell’Utri è, invece, la rivelazione fatta da Riina dopo ben 47 minuti di passeggiata nell’atrio del carcere milanese di Opera, affermando: “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”. Ma il discorso non termina qui, infatti spiega come il tutto ebbe inizio. “Quello… è venuto il palermitano.. mandò a lui, è sceso il palermitano ha parlato con uno… si è messo d’accordo.. Dice vi mando i soldi con un altro palermitano. Ha preso un altro palermitano, c’era quello a Milano. Là c’era questo e gli dava i soldi ogni sei mesi a questo palermitano. Era amico di quello… il senatore”; vale a dire “la persona seria”, a detta di Riina, ovvero: Dell’Utri.
Il “palermitano” dovrebbe essere, invece, Tanino Cinà, il boss che, durante gli anni Settanta, rammentò a Dell’Utri il fatto di mandare Vittorio Mangano come stalliere ad Arcore quando Berlusconi cercava “protezione” (una sorta di tutela scaturita, anche, dal timore di essere assoggettato ad un ipotetico sequestro o, anche, a degli attentati).
Il monologo di Riina costituisce parte fondamentale negli atti del processo “Stato-mafia” per i pm Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi, poiché attribuisce e conferma il ruolo da intermediario che Dell’Utri svolgeva nella seconda fase della trattativa.
Attualmente, Riina si esprime pesantemente sull’ex premier, precisando, quasi in maniera meticolosa, di non averlo mai incontrato, infatti, lo stesso attesta: “Non era così famoso ai miei tempi, altrimenti l’avrei cercato”. Ma il suo discorso non termina, di certo, qui, difatti: “Noi su Berlusconi abbiamo un diritto, sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo”.
Tiene, però, a precisare: “Non lo ammazziamo, però, perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto”. Conclude i suoi discorsi con dell’ironia, tornando a scherzare attraverso l’uso di appellativi che riguardano sempre lo stesso Berlusconi, ovvero: “buffone” e “disgraziato”. Ironizza, anche, sui soldi che l’ex premier deve all’ex moglie. Senza tralasciare la vicenda del fidanzamento del calciatore brasiliano, Pato, con la figlia, sulla quale si esprime in questo modo: “Sta Barbarella è portentosa come suo padre, si è messa sotto quello lì, lui era un potente giocatore e non ha potuto giocare più”.
E quando il dialogo sembra, ormai, terminato, ecco giungere un bel “disgraziato” nei confronti del ministro Angelino Alfano, sul quale, Lorusso, concorda e dice: “Il più cattivo ministro di sempre, si sta impegnando per i sequestri di beni”.
Eleonora Boccuni