Per la Cassazione deve essere condannato penalmente chi maltratta i cani

Per la Cassazione deve essere condannato penalmente chi maltratta i cani

L’articolo 544 ter del codice penale chiaro: chiunque cagiona lesioni «per crudeltà» è passibile del carcere. All’imputato che scaraventò per le scale l’animale che non voleva farsi lavare è confermata la condanna in appello

Da anni, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”,  sosteniamo che chi maltratta gli animali merita pene esemplari e finanche il carcere. Anche la Cassazione penale con la sentenza 36715, depositata ieri 3 settembre afferma che dev’essere punito con la reclusione chi con comportamenti crudeli, cagiona lesioni alle povere bestiole.

Gli ermellini della dalla terza sezione penale, con la sentenza in discussione, hanno dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, condannato dalla Corte d’appello di Messina a scontare due mesi e dieci giorni di carcere perché aveva causato con calci delle lesioni al cane di una signora, facendolo precipitare dalle scale, oltre a rivolgere minacce alla padrona, usando l’espressione: «Sei una psicopatica, ammazzerò il tuo cane e poi anche te».

Inutile il ricorso in Cassazione del condannato avverso la sentenza in questione, nonostante  affermasse che il giudice di secondo grado avesse accolto la versione fornita dalla donna, piuttosto che tenere conto dell’altro racconto della madre, presente durante l’episodio contestato.Per i giudici di piazza Cavour il ricorso è risultato inammissibile in quanto la circostanza che la madre della persona offesa non avesse riferito della minaccia rivolta dall’imputato all’indirizzo della figlia non è rilevante, «sia perché la donna non è stata esaminata in dibattimento, essendo state le sue dichiarazioni, al pari della querela dell’offesa, acquisite con il consenso delle parti ai sensi dell’articolo 493, comma 3, Cpp, e sia perché nelle dichiarazioni acquisite, gli avvenimenti vennero descritti, sia pur sommariamente, in termini analoghi alla versione resa della figlia». Inoltre, «è stata ritenuta perfettamente comprensibile la circostanza che nell’immediatezza, le due donne non ritennero di esternare al veterinario, cui si erano rivolte, l’increscioso episodio avvenuto tra le mura domestiche e dissero che il cane era caduto dalle scale».

Risulta, peraltro, infondato il motivo di ricorso con cui l’imputato aveva lamentato che la reazione del ricorrente fosse stata indotta dalla necessità di sottrarsi al morso del cane, il quale avrebbe attaccato l’imputato intento a sottoporre l’animale a un «normale trattamento igienico».

Sul punto, il giudice dell’appello ha correttamente ritenuto che l’imputato, «preavvisato peraltro della reazione che, per paura, l’animale avrebbe avuto in conseguenza del trattamento igienico imposto con prepotenza, per essere stato l’animale prelevato come fosse “un sacco di patate”, non si limitò a liberarsi del cagnolino ma, alla preannunciata e dunque prevedibile reazione del cane, lo scaraventò per le scale e, scagliandosi su di esso, lo colpì a calci, come concordemente riferito dai testi, tanto che il veterinario riscontrò un trauma articolare, che altrimenti non avrebbe avuto ragione di determinarsi. L’articolo 544 ter Cp, punisce, come una delle modalità della condotta, «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale, sicché l’ambito di rilevanza penale del reato, che è a forma libera, è circoscritto alle sole lesioni di animali realizzate per crudeltà o senza necessità».

viv@voce

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