Amministrare e comandare. Due modi diversi di intendere la nostra democrazia rappresentativa
Non è detto che una tornata elettorale deve stabilire le sorti di una comunità …
Spesso, dalle colonne di questo giornale, abbiamo detto: “Si possono avere mille ragioni. Tutte valide e tutte una migliore dell’altra. Ma in democrazia, alla fine sono i numeri che determinano la fine del gioco”. Già. E’ così. Nelle competizioni elettorali scattano meccanismi diversi, quasi perversi i quali snaturano il gioco della competizione. Ci siamo così abituati, amaramente, a questa constatazione. Quest’ultima è il gioco classico di chi si mette a monte, magari contorniato da un programma ambizioso tale da far sedurre l’elettore erudito. Quello che crede nell’efficacia di un programma elettorale in cui c’è il classico “faremo questo, faremo quest’altro …”. Un volta finita la competizione elettorale, compresi gli ammiccamenti del tipo “50 euro” oppure delle “ricariche telefoniche” chi, in un modo o nell’altro, è stato designato vincitore della tornata elettorale si mette subito all’opera. In questa fase di pre-opera, la logica dei numeri è imperante.
E’ lei che determina gli equilibri ed è lei che determina le oscillazioni all’interno di una amministrazione chiamata, dall’elettore, a dirigere la vita della propria comunità. Quindi qui si parla, logica vuole, di “amministrare”. Amministrare un Palazzo comunale, dargli l’aspetto organizzativo burocratico, insomma il classico prendere le redini in mano e dare la direttiva. La politica deve dare solo l’indirizzo all’auto che si appresta a guidare. Solo quello deve fare.
Ma, tutti sappiamo bene, che spesso e volentieri non è così. La politica invade la vita amministrativa di un paese e spesso ci sono amministratori che credono che il Palazzo municipale di una comunità, nel tempo del mandato elettorale, è il proprio. A volte, questi ultimi si innalzano oltre il dovuto. Eh già, il titolo di “amministratore” li porta (secondo loro però) ad innalzarsi di qualche metro rispetto alla gente comune che, gente questa, senz’altro ha contribuito alla propria vittoria elettorale. Ma oggi, e questo lo sappiamo ben bene tutti, amministrare non è una cosa facile. Per nessuno. Troppe problematiche si affacciano spesso e volentieri, molte realtà escono fuori senza manco avere avuto il tempo di prepararsi.
Insomma, con tutte queste potenziali evenienze, si richiedono amministratori qualificati che capiscono, su tutto, la branca amministrativa di pertinenza e di rimando essere all’altezza del compito assegnato. Spesso non è così. Alcuni amministratori si trinceano nel dire “il mandato amministrativo durerà 5 anni e ci giudicherete alla fine di questo”. Può anche darsi che hanno ragione. Ma non è detto, però. Un amministratore valido, e preparato, non aspetta l’ultimo giorno per dimostrare il suo valore o il suo attaccamento alla propria comunità.
Lo mette in opera ogni giorno, cercando di essere un tassello importante per la collettività e, su tutto, per chi ha un perenne bisogno della sussistenza quotidiana. Un amministratore è sempre vicino al proprio paese, in svariati modi e cercando, sempre, di essere una speranza per chi questa speranza, purtroppo, l’ha persa. Amministrare, secondo il nostro giornale, vuol dire solo questo. Se poi la macchina comunale viene utilizza per fini politici, e di esempi ce ne sarebbero a iosa, oppure a fini personali, e anche qui di esempio non mancherebbero, allora vuol dire che la strada per volere bene a un paese, ad una comunità, non è quella.
“Comandare”, diventa quasi una forma di esibizione sociale, il volersi mettere in mostra. Probabilmente porta, molti amministratori, ad idolatrarsi oltre il dovuto. Con fanfare e articoli sui giornali, compiacenti o no. La democrazia è una gran bella cosa. Una grandissima conquista del popolo italiano. Questa non è stata data gratis da chi, diversi decenni fa, governava la nostra nazione. Ma essa è frutto delle caparbietà, della volontà, della conquista, di chi costantemente, in quei passati decenni, credeva fortemente nelle nostre libertà.
Libertà che oggi, molti di noi, scordano da dove vengono. La politica, ai giorni nostri, ha ubriacato le nostre menti e offuscato i nostri orizzonti. Ma tutto ha una fine. Certo, è la storia che ci dice questo. Ma la storia dice anche che, noi siamo gli artefici del nostro destino e quando lo affidiamo alle mani sbagliate allora, dovrebbe essere, forte la nostra indignazione e alla luce di scriteriate speculazioni o corruzioni dovrebbe alzarsi alto e forte il nostro grido protesta.
Qualche anno fa, su di uno striscione dei camionisti in sciopero, c’era scritto: “Chi si lamenta non ha il diritto di ribellarsi”. La cittadinanza attiva, oggi come oggi, è l’unica strada che porta a dire, e a farci dire, che non siamo numeri. Siamo persone, pur con la nostra dignità e il nostro orgoglio. E quando chi “comanda”, scorda che deve solo “amministrare”, dobbiamo ricordarlo forte questo …
Giovanni Caforio