Ilva: il passato finalmente a processo, ma il futuro resta un mistero
Legambiente: «Rimangono irrisolti i gravi problemi di inquinamento nel più grande impianto siderurgico d’Europa. Resta poco tempo per dare risposte esaustive»
«L’Ilva di Taranto sembra essere sull’orlo del baratro, considerata l’incertezza sulle decisioni che assumerà la magistratura milanese sulla richiesta di utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia Riva per realizzare i lavori previsti dall’AIA e la procedura d’infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per le violazioni ambientali dell’Ilva. Non è un caso se, in una situazione tendenzialmente di stallo, rispetto a quelli che sono gli adempimenti previsti dalle prescrizioni dell’AIA, si torni ad adombrare l’ipotesi sia di un nuovo intervento della magistratura sia di un nuovo decreto (l’ennesimo) del governo. È indispensabile un’accelerazione che dia risposte sui futuri assetti proprietari e sulle risorse finanziarie».
È questo il commento di Stefano Ciafani, Francesco Tarantini e Lunetta Franco, rispettivamente Vice Presidente nazionale di Legambiente, Presidente di Legambiente Puglia e Presidente del Circolo Legambiente di Taranto dopo la costituzione di parte civile di Legambiente nel processo per disastro ambientale Ilva, l’esito interlocutorio della richiesta avanzata dal Commissario Ilva di utilizzo dei fondi sequestrati alla famiglia Riva e all’indomani delle nuove osservazioni rivolte all’Italia dalla Commissione europea.
La Commissione aveva già inviato all’Italia due lettere di costituzione in mora, nel settembre 2013 e nell’aprile 2014, con le quali invitava le autorità italiane ad adottare misure per assicurare che l’esercizio dell’impianto Ilva venisse messo in conformità con la direttiva sulle emissioni industriali e con altre norme UE in vigore in materia ambientale. Sebbene alcune carenze siano state risolte, sussistono ancora diverse violazioni della direttiva sulle emissioni industriali e carenze, quali l’inosservanza delle condizioni stabilite nelle autorizzazioni, l’inadeguata gestione dei sottoprodotti e dei rifiuti e protezione e monitoraggio insufficienti del suolo e delle acque sotterranee. La maggior parte dei problemi deriva dalla mancata riduzione degli elevati livelli di emissioni non controllate generate durante il processo di produzione dell’acciaio. Ai sensi della direttiva sulle emissioni industriali, le attività industriali ad alto potenziale inquinante devono essere munite di autorizzazione. L’Ilva ha un’autorizzazione per svolgere le sue attività ma non ne rispetta le prescrizioni in numerosi settori. Di conseguenza, l’impianto sprigiona dense nubi di particolato e di polveri industriali, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute della popolazione locale e per l’ambiente circostante.
«Passano i mesi ma le “manifestazioni di interesse” non si tramutano in proposte concrete e sulle effettive intenzioni di Arcelor Mittal, visti i precedenti in Europa, pesano gravi interrogativi. I lavori per l’AIA appaiono fermi e del passaggio al metano previsto dall’ex commissario Bondi e dall’ex sub commissario Edo Ronchi si sono perse persino le tracce. Per fortuna la produzione è fortemente ridotta e, grazie a questo, le emissioni rilevate da ARPA Puglia appaiono nei limiti. A ciò – continuano Ciafani, Tarantini e Franco – si aggiungono i piccoli e grandi incidenti che nel frattempo si sono verificati all’interno dello stabilimento, i quali aggravano gli interrogativi sulle già precarie condizioni dell’Ilva in termini ambientali e di sicurezza. La Commissione ha concesso all’Italia due mesi per rispondere: noi riteniamo che, a fronte dei ritardi accumulati, solo dando pieni poteri e risorse certe e adeguate ad un Commissario “ambientale” si potranno cambiare le sorti di un territorio costretto a vivere in una situazione, al momento, senza via d’uscita. Lo ribadiamo: o si risana lo stabilimento o si chiude. Non ci sono alternative».
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