Manduria. “Lui in carcere e io a casa con nostro figlio”

Manduria. “Lui in carcere e io a casa con nostro figlio”

Violenza familiare  

Ho guardato il mio uomo. Il nostro coraggio mi ha reso felice. Più felice che preoccupata, quando un giorno qualunque, all’alba del nostro amore, lui si è presentato in un posto assolutamente improbabile, col suo anello di ordinanza e con le lacrime agli occhi e mi ha chiesto di sposarlo.

Non me lo aspettavo. Ho detto sì, subito sì. Ero fiera di me. Ci sposammo. Mi riempiva di attenzioni, era questo che mi aveva fatto innamorare di lui. Ho sempre creduto nell’amore e ci credo tutt’ora. A mia madre non piaceva e viceversa, quindi già una partenza sbagliata, si facevano la guerra ed io mi facevo manipolare, ho vissuto con lui 10 anni. I primi mesi vivevamo sotto lo stesso tetto con mia madre. Un bel giorno decidemmo di andare a vivere da soli nonostante le ristrettezze economiche, perché era una continua lotta con mia madre.

“Era la mia vita, il mio futuro e avevo scelto lui”. Da questo momento il nostro sogno d’amore muta radicalmente. In 10 anni non ho mai passato un Natale con mia madre, ho lasciato persino il posto di lavoro in quanto geloso, non potevo andare a fare la spesa se non con lui. Lui aveva i soldi non mi passava alcuno spicciolo per comprarmi qualcosa. Chiedevo il permesso per telefonare ad un amica e persino a mia madre. Imploravo spiegazioni circa il suo comportamento, continuava a dire “che lo faceva per noi per la nostra famiglia e che nessuno ci avrebbe fatto male”.

Mi illudevo che fosse così. A complicare questa situazione ci furono i suoi vizi: giocava, spesso e volentieri. Scommetteva alle slot machine, perdendo regolarmente. Tanti i soldi mangiati da quelle macchinette diaboliche. Gli chiedevo di smetterla di spendere tutti i risparmi, di darci un taglio. Così iniziano le prime mani addosso e ad abusare di me una sera contro il mio volere, in questo modo sfogava tutta la sua rabbia. Il seguito è stato drammatico. Dopo quella sera ne seguirono altre, e mi sentivo sempre peggio. Passavo ore sotto la doccia a casa. “Come se l’ acqua potesse levarmi di dosso lo sporco di una violenza che mi aveva logorato anche l’ anima.

Faccio il test è positivo. Durante la gravidanza Angelo inizia a diventare ancora più violento. Una notte mi riempì di botte utilizzando mani e battipanni. Riuscì a scappare e mi rifugiai a casa di mia madre. Tornai a casa da lui pensando che fosse solo un episodio isolato e che con l’arrivo del bambino sarebbe stato diverso. Credevo di poter riuscire a gestire la situazione e di poter salvare il rapporto: Io volevo una famiglia, volevo un padre per mio figlio.

Mi sbagliavo, fu la continuazione di un incubo, di colpo era come se avesse iniziato ad odiarmi. Nacque Giorgio, i maltrattamenti, gli abusi avvenivano anche davanti agli occhi atterriti di mio figlio. Mi rendevo conto che la sua violenza si estendeva anche su di lui, lo terrorizzava, persino quando giocavano era aggressivo. Non ce la facevo più. Trovai la forza per denunciarlo per maltrattamenti, mi recai dai Carabinieri, ascoltarono la mia storia mostruosa, ogni volta che andavo avanti nel raccontare i dettagli mi si spezzava il cuore.

Nei mesi successivi ci furono tanti interrogatori, processi, trafile burocratiche a cui la giustizia italiana costringe le vittime di violenza. Come se non fosse già troppo difficile denunciare. Oggi quell’uomo è in carcere e sta pagando per le sue colpe. Ma ci sono ancora troppi “orchi” in libertà e troppe donne che hanno paura di denunciare. La via di fuga da quell’inferno che non era vita la devo soprattutto a mia madre e adesso vivo con lei e con Giorgio.

Per quanto mi riguarda, ho trovato un lavoro da commessa. Per Giorgio, invece, Il tempo passa ma non è stato ritenuto opportuno fornirgli un aiuto psicologico. Ha un carattere forte, ma a scuola le relazioni con i compagni non sono facili. Non posso far altro che chiedermi: cosa sarà del suo futuro?

FONTE

lavocedimanduria.it

viv@voce

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