Taranto. A NUDA VOCE Canto per le tabacchine di Elio Coriano
Alla biblioteca popolare della Casa occupata di Taranto
Sabato sera nella Biblioteca Popolare, presso la Casa Occupata in via Garibaldi, Elio Coriano, poeta, operatore culturale e docente di lettere, ci ha regalato le sue poesie di “A NUDA VOCE” Canto per le Tabacchine. La Poesia è stata accompagnata dalle note vibranti ed emozionali del maestro Vito Aluisi e dalla splendida voce di Stella Grande, evocando canzoni e musica, repertorio di vita, di dolore e di forza corale, spettro di un passato insanguinato per la conquista della dignità sociale. Solo sociale, perché la dignità umana, queste donne, l’hanno sempre avuta.
Brillantemente presentata dall’amico e scrittore Giuse Alemanno, l’opera di Elio Coriano, la sua drammatica verità, immediata e profonda, di quell’atmosfera, creata da parole capaci di scalfire quel muro di silenzio secolare su vicende di povertà, di lotte e di morti, mai entrati nei libri di storia e, soprattutto, la sua commossa compenetrazione emotiva, ci raccontano le vicende dolorose delle tabacchine di Calimera.
Il 13 giugno 1960 alcune donne morirono tra le fiamme mentre lavoravano, mentre sfiancate da fatica e repressione di sogni e di progetti, pensavano forse al loro ritorno a casa, o alle faccende di casa che ancora dovevano assolvere.
“il fuoco è senza pietà/ brucia tutto senza riguardo/ brucia la balla brucia il legno/ si avventa sulla carne della donna/ che non è riuscita a fuggire” (Elio Coriano)
L’incendio avvenne nei locali della ditta Villani e Franzo e Miriam Mafai, dalle pagine della rivista “Vie Nuove”, citata nell’Opera di Elio Coriano A Nuda Voce, Musicaos: ed, racconta le testimonianze delle donne sopravvissute e delle fiamme che esse continuavano a vedere nonostante fosse tutto finito. Le lavoratrici parlano dei locali malsani e delle condizioni inumane di lavoro, dei salari da fame. E l’ombra dei “baroni del tabacco”appare trionfante ed alleata del potere politico.
La causa della tragedia è la violazione delle leggi da parte della ditta concessionaria; lì in quei locali si utilizzava, facendolo evaporare, il solfuro di carbonio che proteggeva il tabacco dalle tarme. Quel luogo doveva essere utilizzato da esperti, mentre la ditta assunse nove tabacchine, pagandole miseramente 700 lire al giorno.
“Scrivere delle mani spaccate dai calli/ dei disastri della candeggina a mani nude/ della terra che non riuscivi a togliere dalle unghie/ scrivere delle mosche che danzavano impazzite/ attorno al secchio del latte” (Elio Coriano).
Scrivere ciò che ha scritto Elio Coriano e recitare, trasformando il luogo in cui eravamo sere fa, in uno di quei paesi del Salento, in cui l’altissima dignità degli uomini e delle donne non riuscì mai a salvarli dalla tortura sfiancante, dalla nebbia assillante di un futuro sempre uguale, è stato davvero un miracolo per noi.
Quando le parole diventano immagini e fiamme, siamo alla resa dei conti con la nostra anima, col nostro essere più profondo, quello che palpita e soffre, perché una sorella, una madre, da qualche altra parte è stata anche nostra madre, nostra sorella.
Le sei donne morte barbaramente e tante altre salve, ma lavoratrici calpestate nei diritti e nella propria stessa vita, sono state le protagoniste assolute anche dentro di noi; le abbiamo accolte nella disperata, quanto rassegnata, inesistente speranza di cambiamento, non del tutto sopita però, perché Elio Coriano, nei suoi versi, ci riporta ai loro legittimi pensieri.
“ A noi non è stata data nessuna scelta
Siamo nate e già sapevamo il nostro destino
Il mondo per noi non aveva strade” (Elio Coriano)
Ma dicono anche “Senza musica e senza armonia
nel raggio di sole che entra dall’inferriata
c’è la terra e la polvere del lavoro
anche la luce sembra prigioniera come noi
se parliamo rallentiamo il ritmo del lavoro
se cantiamo rallentiamo il ritmo del lavoro
se invece lavoriamo in silenzio come marionette
senza testa niente si rallenta” (Elio Coriano)
E si chiedono, allora, quando arriverà il tempo dell’esser donne, il tempo di appartenere solo a se stesse.
MARIA LASAPONARA