Sicurezza alimentare. Ritirate le confezioni di Fichi secchi per livelli massimi di aflatossina B e G
Il sistema di allerta rapido della Regione Valle d’Aosta segnala il ritiro dagli scaffali dei supermercati di tutta Italia di un lotto di FICHI SECCHI gr 250 – origine Turchia distribuito dal grossista: Ditta Manuzzi srl Via Vilfredo Pareto, 175 47521 Cesena (FC)
Si tratta del Lotto 090022385-11-205 TMC 01/10/2015. Gli esercizi interessati in Valle D’Aosta sono LDD SARRE LOCALITA’CONDEMINE, 20 SARRE AO LDD S.CHRISTOPHE LOCALITA’ GRANDE CHARRIERE, 66 SAINT CHRISTOPHE AO. Il motivo del ritiro per la presenza nel prodotto di livelli massimi di aflatossina B e G superiore ai limiti di legge. Le Aflatossine sono prodotte dal metabolismo secondario di alcuni ceppi fungini di Aspergillus flavus (da cui il nome) e Aspergillus parasiticus, che si sviluppano su numerosi substrati vegetali come cereali (con particolare riferimento al mais), semi oleaginosi (come le arachidi), spezie, granaglie, frutta secca ed essiccata, sia durante la coltivazione che durante il raccolto e l’immagazzinamento.
I requisiti per la produzione di aflatossine da parte dei diversi tipi di funghi produttori sono alquanto aspecifici e corrispondono a temperature comprese tra 25°C e 32 °C e a valori di acqua libera (Aw) tra 0.82 e 0.87. Le aflatossine vengono prodotte preferenzialmente su substrati ricchi di carboidrati e mentre le aflatossine B1 e B2 sono prodotte dall’A. flavus e dall’A. parasiticus, le G1 e G2 sono prodotte solo dal secondo.
La produzione di aflatossine da parte dell’A. flavus risulta inoltre particolarmente abbondante in stagioni con temperature superiori e piovosità inferiori alla media, come è accaduto nelle annate 2003 e 2012. Inoltre, la presenza di insetti spesso coincide con alti livelli di aflatossine specie nel caso della piralide del mais (Ostrinia nubilalis), in quanto gli insetti sono da considerare tra i maggiori responsabili della contaminazione sia per la veicolazione delle spore fungine, sia per il danneggiamento alla pianta con un’aumentata condizione di stress che aumenta il rischio di esposizione della stessa all’attacco fungino.
Tra le pratiche agricole che maggiormente comportano fattori di rischio specialmente nella coltivazione del mais si possono individuare: la mancata concia del seme, la lavorazione su sodo, la monocoltura, l’impiego di ibridi precoci, l’uso di non appropriate procedure di irrigazione, la mancanza di una lotta biologica in campo, l’uso di varietà particolarmente suscettibili all’attacco fungino ed uno squilibrio della componente minerale del suolo con rapporti non bilanciati di azoto, fosforo e potassio e la pratica di posticipare la raccolta, con il rischio di abbassare troppo l’umidità alla raccolta. Le aflatossine sono sostanze chimicamente riferibili alla difuranocumarina.
Fra le 17 aflatossine finora isolate solo cinque sono considerate rilevanti sia per diffusione sia per tossicità: le aflatossine B1, B2, G1, G2 e la aflatossina M1, metabolita idrossilato, che deriva dal metabolismo della aflatossina B1 da parte di animali alimentati con mangimi contaminati con aflatossina B1. La serie G contiene un anello lattonico, mentre la serie B contiene un anello ciclopentenoico, che è responsabile della maggiore tossicità di questa serie.
La tossina di maggiore interesse tossicologico è senza dubbio l’aflatossina B1 in quanto genotossica ed epatocancerogena. Altri effetti tossici osservati negli studi condotti su specie animali sono iperplasia dei condotti biliari, emorragia del tratto gastrointestinale e dei reni.Nel 1993 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, ha classificato la Aflatossina B1 nel Gruppo 1, cioè come “agente cancerogeno per l’uomo”.Essendo l’aflatossina B1 genotossica, non è possibile stabilire una soglia massima di assunzione con la dieta e pertanto il principio tossicologico di riferimento è quello di mantenere il livello di esposizione il più basso possibile (As Low As Reasonable Achievable, ALARA).In tutte le specie animali finora testate, appare evidente che l’azione mutagena, cancerogena e di legame covalente con il DNA N7-Guanina, sia il risultato della attivazione della AFB1 a carico del citocromo P450, complesso enzimatico che porta alla formazione dell’intermedio altamente reattivo aflatossina B1-8,9-epossido in grado di legarsi alle proteine ed indurre aflatossicosi acute o al DNA inducendo la cancerogenesi.
La tossicità delle aflatossine ha caratteristiche e implicazioni differenti secondo la dose. In condizioni di aflatossicosi acuta, si manifesta un’alterazione della integrità intestinale e/o una modulazione dell’espressione delle citochine, proteine secrete da diverse cellule, fondamentalmente dal sistema immunitario, come risposta ad uno stimolo immunologico o come segnale intercellulare dopo lo stimolo di una di esse.Ambedue questi effetti possono causare sia un ritardo nella crescita dei bambini sia un effetto immunosoppressivo.Le aflatossicosi acute nell’uomo, associate con dosi estremamente elevate di aflatossine derivanti dalla dieta, sono caratterizzate da emorragie, edema, danni acuti epatici e morte.
Le condizioni che favoriscono la probabilità di aflatossicosi acute includono una limitata disponibilità di alimenti, condizioni ambientali caratterizzate da alte umidità e temperature che favoriscono l’attacco fungino sulle specie vegetali e la mancanza di azioni preventive e di azioni di controllo per monitorare i livelli di aflatossine nella filiera agro-alimentare. In Africa, sono stati riportati numerosi casi di aflatossicosi acute associate principalmente al consumo di mais altamente contaminato, come ad esempio è accaduto in Kenya nel 1982, in cui sono stati registrati 12 decessi, e nel 2004, in cui 317 persone furono colpite da sintomi riconducibili alla aflatossicosi con 125 decessi.Negli animali, l’aflatossicosi acuta si è manifestata per la prima volta nel 1960, quando più di 100.000 tacchini morirono nel Regno Unito in condizioni non conosciute al punto che la patologia responsabile di questo evento fu chiamata “Turkey X disease”.
In seguito, studi più approfonditi hanno rivelato che la causa era da ricondurre al consumo di farina di arachidi fortemente contaminata da aflatossine. Analogamente, nel 1981 in Australia, sono morte diverse centinaia di vitelli alimentati con fieno misto ad arachidi, e nel 2007, in Argentina un analogo evento si è manifestato in un allevamento di cincillà.Nelle diverse specie animali, l’esposizione cronica alle aflatossine può causare un danno alla efficienza riproduttiva, un aumento della mortalità, una riduzione del peso, anemia, ed ittero. Inoltre, nel caso di galline ovaiole, le aflatossicosi causano un ingrandimento dello strato adiposo del fegato ed una considerevole riduzione nella produzione di uova.
Alcuni studi epidemiologici hanno correlato l’esposizione cronica all’aflatossina B1 con la mutazione del gene soppressore del tumore p53, condizione questa ritenuta responsabile dell’induzione dell’apoptosi, comunemente osservata nei soggetti portatori di epatocarcinoma cellulare (HCC) provenienti da varie regioni geografiche. Quest’inversione è stata ampiamente verificata nei pazienti portatori di HCC originari della Cina (parte continentale), dell’Africa edel Messico, paesi in cui la contaminazione del cibo con aflatossina B1 è elevata, ma raramente nei soggetti provenienti da Hong Kong, Singapore, Giappone, Europa e nelle popolazioni caucasiche che risiedono negli Stati Uniti, dove gli alimenti contengono concentrazione ridotte di aflatossina B1.Uno studio caso-controllo condotto su 18.000 persone di Shanghai, ha rivelato un aumento statisticamente significativo del rischio relativo di HCC nei soggetti in cui era riscontrata la presenza nelle urine di metaboliti dell’aflatossina B1, tra cui l’aflatossina M1.
Inoltre, il rischio della insorgenza del tumore era 7 nei portatori di epatite B (HBV) e 59 negli individui con marcatori biologici di infezione HBV ed aflatossina B1. Da questi riscontri scientifici è possibile tuttora accreditare l’ipotesi che il ruolo dell’aflatossina B1 nella insorgenza dell’HCC sia essenzialmente quello di amplificare il rischio determinato dall’infezione HBV.In particolare, il Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA) considera il potere cancerogeno della Aflatossina B1 sostanzialmente maggiore nei portatori di HBV HBsAg+ (circa 0.3 casi di cancro/anno/100.000 persone/ng of aflatossina B1/kg di peso corporeo per diem), rispetto ai soggetti HBsAg-, nei quali l’incidenza di cancro scende a circa 0.01 casi di cancro/anno/100.000 persone/ng di aflatossina B1/kg di peso corporeo per diem). Inoltre il JECFA ha evidenziato il potenziale ruolo della vaccinazione contro il virus dell’epatite B come fattore di riduzione del rischio cancerogeno da parte della aflatossina B1.
Tra i metaboliti dell’Aflatossina B1, il più rilevante per la salute pubblica è la forma metabolica idrossilata dell’aflatossina B1, la aflatossina M1, molecola più polare e meglio trasportabile attraverso il circolo sanguigno, che si ritrova essenzialmente nel latte di bovini, ovini e caprini con una percentuale di trasferimento che oscilla tra l’1% ed il 3% a seconda delle specie animali. Il trasferimento della AFM1 è stata riscontrata anche nel latte materno. Il suo potere epatocancerogeno è inferiore a quello è inferiore a quello della Aflatossina B1 ed è compreso tra il 2 ed il 10% rispetto a quello della AFB1.
Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, avvisa, a scopo precauzionale, i consumatori che avessero acquistato il prodotto a non consumarlo e contattare i Carabinieri NAS o la ASL competente per territorio. Mentre consiglia alle persone che presentano sintomi di intossicazione di consultare subito un medico.