La Fracéra, un antico strumento per riscaldare tutta la famiglia
E chi non la ricorda? Chi non ricorda i propri genitori o nonni che la custodivano in casa per riscaldare l’ambiente? Sarebbe bello che i giovani conoscessero la storia dei propri paesi per rendersene custodi
Il tempo uggioso mette ad alcuni un po’ di malinconia, un po’ come i ricordi del passato. A questo, oggi, vogliamo volgere i pensieri ricordando un pezzo della nostra storia che, seppur sconosciuta ai più giovani, alcuni ricorderanno benissimo. E’ marzo ed è giunta la primavera solo per il calendario. Fa ancora freddo e chissà se in qualche abitazione c’è ancora lei a riscaldare l’ambiente: la fracéra, il braciere dei nostri nonni. Serviva certo per riscaldare ma anche a riunire la famiglia che, magari dopo una giornata di lavoro, vi si sedeva attorno.
La ricordo a casa di mia nonna, colei che aveva il compito di accenderla (rito di cui era gelosissima) riempiendola di cinisa o di craunèdda. Ed era gelosa anche della paletta (lu palittinu), che usava per “scazzicare” la cenere. Noi nipoti guardavamo quella polvere grigia incandescente, affascinati, cercando di strappare alla padrona di casa, per pochi secondi, il monopolio su di essa.
Tante volte, attorno a quell’antico strumento, mia nonna cantava delle piccole filastrocche coi nomi di tutti noi nipoti, recitava il rosario in silenzio, preparava calze con un ferro semplice che le attorniava tutto il collo, o ancora abbrustoliva il pane. La fracéra era formata da un contenitore in ottone con due manici per la presa che veniva poggiato su un piano circolare in legno (con apertura centrale), sorretto da tre piedi (lu péti).
I visi si avvampavano e, soprattutto a noi bambini, raccomandavano di non starci troppo vicini. C’era un odore particolare, una volta, nelle case. Odore sì di prelibatezze ma anche di umiltà e semplicità. Sarebbe bello che i giovani riscoprissero la storia del proprio paese, non necessariamente per farla rivivere in concreto (perché in bene o in male la storia si evolve), ma per rendersi scrigni della propria identità. Le origini, quelle non vanno mai dimenticate.
Gabriella Miglietta