Salento, il depuratore consortile Manduria-Sava e le sue singolarità
Una premessa si impone. Caso mai non si fosse capito, io sono favorevole alla sindrome di Nimby
A parte il fatto che chi è contrario ad un’opera, non è detto che sia favorevole od agnostico qualora essa venga realizzata altrove, e non nel suo giardino, ma, a parte ciò, spesso, i comitati Nimby sono documentati ed essi portano a sostegno delle loro lotte elementi che possono comunque valere contro quell’opera quando e dovunque la si volesse realizzare. E’ il caso del depuratore consortile Manduria-Sava.
È da diversi decenni che si parla di un nuovo depuratore in quest’area del Salento. Questo ha provocato, a partire dal 2011, la nascita di una forte e documentata opposizione popolare, il cui ultimo atto è stata la partecipata manifestazione svoltasi domenica scorsa 19 aprile a Manduria.
Riassumo brevemente i termini della questione.
Nel 2005 si concorda la progettazione di un nuovo impianto di depurazione tra il Comune di Manduria, guidato dall’allora sindaco Francesco Massaro (centrosinistra), e l’Acquedotto Pugliese. Questo depuratore dovrebbe servire i comuni di Manduria, Sava e le marine del litorale manduriano. Il primo è in realtà dotato di un depuratore, il quale però scarica le acque reflue in una vora in deroga alla normativa. Il comune di Sava invece il depuratore non ce l’ha, ma non ha neppure una rete fognaria completa. Prima singolarità, anche se non particolarmente inquietante nella nostra (?) Italia.
Seconda singolarità: il depuratore non servirà la Marina di Manduria, nonostante verrebbe realizzato nella vicinanze della stessa. Il depuratore è dimensionato infatti per 67.000 abitanti equivalenti (a/e) mentre in realtà, quando sarà attivato, servirà solo 30.000 a/e.
Terza singolarità: il progettato depuratore avrà lo scarico a mare, mentre i depuratori già esistenti di Maruggio e di Avetrana, seppure più vicini alla costa, non versano i reflui fognari a mare.
Quarta singolarità, la più grave: appunto lo scarico a mare. Il progetto infatti prevede la costruzione di una condotta lunga 17 km che convoglierebbe i liquami da Sava e Manduria fino al nuovo depuratore. Successivamente, dal depuratore partirebbe una condotta lunga 1,5 km per arrivare fino alla spiaggia, e dalla battigia partirebbero altri 900 metri di tubatura sottomarina per effettuare lo scarico in mare alla profondità marina di soli 14 metri. Lo scarico a mare avverrà (diciamo “avverrebbe”, che è più ottimistico?) in una delle aree ambientalmente e paesaggisticamente più preziose del Mare Ionio. Ai lati dell’impianto e dello scarico a mare, infatti, ci sono due aree protette appartenenti al “Litorale Tarantino Orientale” (Foce del Chidro, e Salina Monaci e dune di Torre Colimena), istituite dalla Regione Puglia con L.R. 24/2002, e l’area marina protetta di Porto Cesareo, istituita con decreto del Ministero dell’Ambiente del 1997, che va da Punta Prosciutto a Torre Inserraglio. Non solo, singolarità nella singolarità, lo scarico interesserebbe una località marina, chiamata Specchiarica, che è Sito di Interesse Comunitario (Sic) per via della presenza di Posedonia Oceanica. E l’Arpa Puglia ha accertato nel 2014 che questo tratto di mare è incontaminato.
Non vi è chi non veda appunto la singolarità di una scelta progettuale che andrebbe ad interessare un’area preziosissima, sia dal punto di vista ambientale, ma anche economico, visto che la maggiore risorsa del litorale salentino ed in particolare di questa area del Salento, è il turismo. Scelta ancor più grave se si pensa che le acque reflue dei depuratori costituiscono una serissima minaccia per l’ambiente.
Dai sequestri eseguiti dalla magistratura sui depuratori che scaricano i liquami direttamente in mare senza averli ben depurati e dalle rilevazioni effettuate dalla Goletta Verde di Legambiente, si può perfettamente comprendere che tali malfunzionamenti – dettati talvolta da disorganizzazione e negligenza del gestore – non sono delle ipotesi improbabili ma sono all’ordine del giorno sia in Puglia e che nel resto d’Italia.
Si può a questo punto obiettare: sì, va bene, ma le acque reflue dove dovrebbero confluire, in alternativa?
E qui mi riaggancio all’esordio di questo post, e cioè all’alternativa suggerita dall’eterogeneo movimento che si oppone a questa vera e propria follia. L’alternativa esiste, è praticabile sia sul piano normativo, sia scientifico, sia ambientale, e consiste nel riuso totale delle acque reflue. Lo studio è del prof. Mario Del Prete (ordinario di Geologia e Idrogeologia all’Univ. della Basilicata e oggi consulente scientifico del Comune di Avetrana), e sostenuta da altri quattro professori di diversi atenei. Essa consiste nella depurazione e sanificazione totale delle acque reflue per poterle riutilizzare in ambito agricolo, civile, industriale e, infine, per contrastare il processo di contaminazione salina della falda acquifera principale che, sempre più assottigliata da emungimenti incontrollati, costituirà a breve una grande emergenza ambientale. Un risultato importante se pensiamo che questa zona della Puglia è caratterizzata da siccità e ha una forte tendenza alla desertificazione.
Ciò detto, continuiamo con le singolarità.
La quinta. In questi anni, l’amministrazione comunale di Manduria guidata dal centrosinistra ha sempre sostenuto e difeso lo scarico a mare, ben sapendo che esistevano alternative. E ben sapendo che, potenzialmente, la scelta era dannosissima per l’economia del comune. E quando fu effettuata nel 2011 la procedura di Via, l’amministrazione comunale del sindaco Paolo Tommasino (centrodestra) avrebbe ben potuto affermare l’insostenibilità ambientale della scelta. Ma non lo fece.
Sesta singolarità. Oggi il comune di Manduria, guidato dal sindaco Roberto Massafra (liste civiche), è contrario allo scarico a mare, così come quello di Avetrana…
Settima singolarità, anche se non so se definirla tale, visti i precedenti. Nichi Vendola, governatore della regione, e creatore del simbolo “Sinistra, ecologia e libertà”, non solo non ha sostenuto la motivata e legittima richiesta del movimento, ma è rimasto pressoché assente in tutta la vicenda. Del resto, questa non è che una conferma della scarsa sensibilità all’ambiente della giunta regionale. Leggasi la nota vicenda dell’Ilva di Taranto ed i suoi recenti sviluppi.
Oggi, la lotta contro lo scarico a mare è portata avanti da sempre più numerosi soggetti: i cittadini, le associazioni, i comitati intercomunali, l’Amministrazione di Avetrana e quella di Manduria. Vedremo come andrà a finire. La speranza che la ragione abbia il sopravvento è sempre l’ultima a morire. Anche se in campo ambientale la logica va spesso a farsi benedire.
FONTE
ilfattoquotidiano.it