Decreti salva Ilva, la rabbia dei magistrati
Carbone: «Il caso Ilva è la dimostrazione di come il legislatore tuteli l’interesse economico rispetto ad altri interessi come quelli sulla sicurezza dei lavoratori e della tutela ambientale»
No comment e musi lunghi tra i magistrati tarantini all’indomani dell’ennesimo decreto del governo salva Ilva, l’ottavo, che dissequestra l’altoforno 2 dell’Ilva di Taranto. Il provvedimento cautelare era stato deciso dalla procura dopo l’incidente dell’8 giugno scorso in cui ha perso la vita l’operaio trentacinquenne, Alessandro Morricella, investito da una colata di ghisa fusa.
Per il magistrato inquirente prima, e per il gip dopo, l’impianto non era sicuro pertanto doveva essere fermato per evitare altri incidenti mortali. Questa presunta pericolosità è ora scomparsa per decreto.
Ad esprimere il malessere che serpeggia tra i magistrati tarantini, ma non solo, è il segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Maurizio Carbone (nella foto), egli stesso pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Taranto.
«Il caso Ilva – dice – è la dimostrazione di come il legislatore tuteli l’interesse economico rispetto ad altri interessi come quelli sulla sicurezza dei lavoratori e della tutela ambientale».
Il segretario dell’Anm mette in luce una pericolosa spaccatura tra i due poteri dello Stato. «Tutto questo – prosegue Carbone – crea una ulteriore contrapposizione tra potere giudiziario e potere legislativo sulla base di una evidente e più volte dimostrata priorità di quest’ultimo verso la tutela economiche rispetto ad altri diritti».
E il caso dell’Ilva, per salvare la quale, in più occasioni, si sono scomodati sia governo che ministeri e in definitiva intere maggioranze del Parlamento, sarebbe lo specchio di una nuova concezione critica del legislatore nei confronti della magistratura. Un esempio, spiega ancora il segretario di Anm, sono i recenti commenti dei politici alla decisione della Corte Costituzionale che ha bocciato il provvedimento del governo sulle pensioni. «Anche in quel caso – spiega Carbone -, il potere politico ha attaccato la magistratura accusandola di aver preso quella decisione per mettere in difficoltà economiche il governo».
Ma esiste il rischio che questa frattura diventi insanabile e che di riflesso crei, tra i magistrati e quindi anche nell’opinione pubblica lontana dalla politica, un senso di sconfitta o di impotenza?
«Non lo so, ognuno valuta le situazioni a modo suo. Certo è – conclude il magistrato – che scelte come questa sull’Ilva, da parte della politica, non possono che lasciare perplessi e destare preoccupazione e non soltanto tra gli operatori della giustizia».
FONTE
Nazareno Dinoi sul Corriere del Mezzogiorno – Corriere della Sera