Razzismo e sessismo. Bufera sulle bottiglie Müllermilch con immagini di ragazze pin-up
Le immagini delle bottiglie di latte aromatizzato con impresse le immagini di donne semi-nude, fanno il giro del mondo
L’azienda casearia tedesca Müller ha scatenato un putiferio nei social a causa di una pubblicità sulle bottiglie di latte aromatizzato con immagini di donne semi-nude che ha innervosito e offeso molti utenti.
La pubblicità che ha fatto subito il giro della rete e la notizia che è stata ripresa da importanti portali d’informazione, è stata sommersa dalle critiche sui social media. Infatti secondo i critici la grafica contiene un doppio senso perchè unisce razzismo e sessismo.
Il latte al gusto di banana è rappresentato da una foto di una donna bionda in topless con una gonna corta e un cappello in testa. La bruna sulla bottiglia del latte alla nocciola è sdraiata sulla schiena che gioca con un frutto fuori misura.
Più discutibile, la bottiglia di latte al cioccolato con una donna dalla carnagione scura, identificata con “Sharon Sheila Schoko” che nasconde la sua nudità dietro un pezzo di cioccolato fondente.
Le bottiglie sono state solo sugli scaffali dei supermercati per pochi giorni, ma la protesta è stata immediata, con l’hashtag # #ichkaufdasnicht (non sto comprando che), è diventato un evento offline, un trend su twitter.
Secondo la società latteria bavarese, invece la campagna pubblicitaria è un omaggio alle ragazze pin-up degli anni 1950. Provocare è diventato lo spot preferito dei pubblicitari, commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”. Mentre la nostra ssociazione si aggiunge alle altre forze che combattono il fenomeno diseducativo della pubblicità sessista, e al tempo stesso si pone come catalizzatore di quelle forze.
Per pubblicità sessista si intende quella che della donna mostra prevalentemente l’aspetto di seduttrice, a volte affiancato da quello di casalinga-madre. Il divario tra questa rappresentazione e il mondo reale che presenta mille tipologie di donne è enorme e noi pensiamo che la riduzione della figura femminile a questi due ruoli favorisca nell’immaginario collettivo una distorsione.
Questo vale anche per i bambini e i ragazzi, ai quali è presentata un’immagine di donna che si offre e viene offerta senza scrupoli: sempre disponibile, ancillare, subordinata, passiva, spesso provocante se non spudorata.
In Italia il monitoraggio della pubblicità è affidato all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Il codice dello IAP stabilisce, tra l’altro, che essa deve: “rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni”.
Partendo da questo principio, lo “Sportello dei Diritti” quando individua uno spot manda una mail allo IAP affermando che esso contraddice quella norma. Il vantaggio di indirizzare le proteste a questo istituto è che così facendo ci rivolgiamo alle imprese, cioè a chi pianifica e sdogana le réclame.
Il nostro intento non è la soppressione di un singolo spot particolarmente denigrante, perché ciò equivarrebbe ad accettare implicitamente tutti gli altri, ma quello di fare continua pressione perché l’intero fenomeno sia ripensato alla luce di una nuova sensibilità emergente.