27 febbraio 2010-27 febbraio 2015. CINQUE ANNI FA MORIVA MARCUCCIO MALANDRINI. LA NOSTRA MASCOTTE …
La famiglia di Marcuccio, tra disgrazie e sventure. L’emarginazione sociale nella sua veste più completa
Una delle ultime foto fatte dal nostro giornale
Fu nella prima metà degli anni ’80 che la famiglia di Marcuccio Malandrini divenne mia dirimpettaia. Qualche mese prima della primavera dell’85 questa famiglia viveva in un casolare collocato in aperta campagna e fu assalita in piena notte, e bastonati quasi tutti i componenti, da uno scriteriato e scellerato mezzadro che voleva liberare il caseggiato del terreno che aveva in gestione dal proprietario.
La notizia fece uno scalpore incredibile e l’allora sindaco Bruno Ariano prese particolarmente a cuore la situazione di questa famiglia disagiata, sotto tutti i punti di vista, e la collocò nei locali privati di via Del Prete, i quali prima avevano ospitato i Servizi Sociali.
Cominciava pian piano a delinearsi la norma per questo nucleo familiare e nonostante i disagi il supporto dei savesi e di chi allora gestiva i Servizi Sociali faceva sentire meno soli questi componenti extraurbani che entravano nel tessuto urbano.
Il padre, la madre, Marcuccio stesso, il fratello Ettore, la sorellina Elena cominciavano ad entrare in quel mondo dove noi tutti eravamo già residenti dalla nascita. Pochissimi mesi dal loro arrivo in Via Del Prete ed ecco riaggregarsi al nucleo familiare primitivo il fratello Giovanni, dato in “adozione permanente” ad un siciliano gestore di una masseria di Maruggio, il quale doveva il suo arrivo nel paese limitrofo alla nostra costa ad un ordinanza di un tribunale siciliano che lo aveva mandato al confino, in quanto persona non gradita nel contesto sociale del proprio paese di origine.
Giovanni arrivato tra gli altri, cominciava a vivere quei primi passi che moltissimi di noi avevano già fatto dai primi vagiti. Giovanni portava sempre addosso i gambaletti di plastica, come se fosse l’unico paio di scarpe che conoscesse, quando parlava faceva fatica a seguire i discorsi degli altri, lui che aveva sempre vissuto nella masseria, lontano dal mondo, lontano dalla vita di tutti i giorni, dove il televisore o la radio erano un qualcosa che non aveva mai visto e un giornale era un oggetto mai conosciuto ai suoi occhi. Non sapeva leggere, la sua vita era trascorsa tra le pecore e i pascoli nelle immense distese di macchia mediterranea della nostra terra.
Giovanni cominciò pian piano a vivere la vita di tutti i giorni, come noi d’altronde, ma non con una marcia in meno ma con un mondo da recuperare. Qualche mese ancora e poi, tutto d’un tratto, Giovanni scompare! Sparisce, non si sa più nulla di lui!
Di questa scomparsa viene investita direttamente la neonata trasmissione di “Chi l’ha visto” condotta allora da una bravissima Donatella Raffai e la trasmissione radiotelevisiva arriva a Sava: viene bloccata via Del Prete, montata una mega antenna di circa dieci metri (allora si usava così, ndr) e la RAI TV manda in onda in diretta dalla casa di fronte alla mia la trasmissione e l’urgenza del caso. Tutto il paese comincia a chiedersi che fine abbia potuto fare Giovanni: molte domande, alcune atroci, altre disgraziate.
Quelle atroci, quelle più consistenti, portano al gestore della masseria in cui Giovanni aveva vissuto per oltre 30 anni, altre portano all’involontaria caduta di Giovanni in qualche pozzo nelle campagne, visto che lo stesso aveva un occhio particolare, ed era bravissimo, nel trovare gli asparagi selvatici.
Di lui non si è saputo più nulla, non è stato neanche ritrovato il corpo. Passano gli anni, Ettore comincia a lavorare in un panificio del centro savese, Elena è seguita dalle suore di Piazza Risorgimento e Marcuccio comincia a fare il posteggiatore delle auto in Via Del Prete per conto della prima coperativa che si avventura nella gestione dei parcheggi pubblici.
Muore il padre, contati su due palmi di mano i partecipanti al suo funerale, i savesi cominciano a vedere con riluttanza questo nucleo familiare così diverso da quello proprio. Si attivano i sindacati per far entrare nel servizio pensionistico tutti i componenti della famiglia di Marcuccio e ci riescono: vengono tutti muniti di pensione minima la quale garantisce la sussistenza economica.
Arrivano un pò di soldi e subito acquistano una casa nel Vico Gigante: è la loro prima proprietà. Vengono seguiti a singhiozzo dai Servizi Sociali, stentano sempre a entrare nella logica delle cose, anzi non entrano affatto e li vediamo sempre come sbandati alla ricerca di un qualcosa che neanche loro stessi sanno cosa. Vanno avanti così, due anni fa muore la madre, unico riferimento per Marcuccio, Elena ed Ettore: nnà tragedia!
Ancora più soli stì ragazzi, soli nell’immenso vuoto davanti a loro, nessun riferimento, nessuna linea da seguire ma solo il loro micidiale istinto che, a volte, non somiglia molto a quello umano … Marcuccio si differenziava da Elena e da Ettore in quanto era curiosissimo, portato a scherzare e di seguito preso a straordinaria simpatia da tutti i savesi, davvero da tutti.
La sua deambulazione, avuta da piccolo a seguito di un incidente stradale, il suo viso tenerissimo e a forma di palla portavano tutti noi a una forma di protezione nei suoi confronti, quasi a volerlo sentire un qualcosa che ci appartiene, magari anche lontanamente, come una specie di forma somigliante ad patrimonio di tutti noi.
Un tragico incidente ce lo ha portato via, non lo vedremo più nelle strade del nostro paese, non lo vedremo più in Via Del Prete mentre cammina o mentre è seduto su di una panchina o mentre aspetta ansioso il pranzo quotidiano che un uomo da un cuore grande grande, che fa di nome don Teodoro Tripaldi, ha preparato e prepara ancora per questi disagiati sociali, per questi sfortunati che hanno solo una colpa: quella di essere figli di un Dio minore …
Giovanni Caforio