SAVA. Amarcord. C’era una volta la stazione ferroviaria …

SAVA. Amarcord. C’era una volta la stazione ferroviaria …

Archignano, il sogno di tanti savesi

Da moltissimi anni ormai, in contrada Archignano, vi è un vecchio edificio murato che una volta era un pezzo di storia e di vita del nostro paese: la stazione ferroviaria savese.

Veniva “servita” da una corriera che partiva puntualmente dalla Piazza San Giovanni, vicino all’elio Bar, e finiva la sua corsa proprio di fronte a questo maestoso edificio: molti concittadini, fino a non molti tre decenni fa, scendevano carichi di valigie fatte di cartone pressato, con taniche e scatoloni vari mentre altri  savesi salivano, appena scesi dal treno,  stracolmi di tutto e aspettavano il rientro nel paese con i parenti che li aspettavano ansiosi.

Archignano si presentava, in quegli anni, a differenza delle altre contrade savesi, come la Torre Ovo odierna, si riempiva di savesi appena dopo “San Ggiuanni”: traìni carichi di reti, materassi e qualche pentola erano le cose più importanti che venivano spostate dal paese alla campagna, iniziava così la villeggiatura savese più famosa dell’epoca.

Questa contrada era gremita all’inverosimile, la sera le ragazze uscivano lungo la strada maestra quasi a voler rimarcare che quella era la via più importante per il passeggio serale, avendo puntati, a non molta distanza, gli occhi vigili dei genitori!

Il cielo era sempre stellato e lasciava presagire l’arrivo di una giornata afosa: a volte ci addormentavamo tra le braccia delle nostre mamme che chiacchieravano con le vicine. La sera, prima di andare a letto, uscivamo fuori le poche sedie di legno e paglia perché, ci dicevano gli adulti, l’umidità della notte rinforzava la struttura. Molti emigranti appena avevano la possibilità di assentarsi temporaneamente dal lavoro, le classiche ferie, si lasciavano dietro qualche fabbrica del nord Italia o qualche azienda estera, ed erano lì presenti a villeggiare!

Archignano si presentava così: bella, maestosa, imponente, le sue modestissime casette tinteggiate in latte di calce bianca con i pergolati di uva aderenti alle porte d’ingresso e i suoi terreni fertilissimi erano puliti, senza un filo d’erba, decoro del lavoro dei nostri contadini dell’epoca. Appena qualche perturbazione si presentava all’orizzonte, lo spettro di qualche brutto arrivo, sembrava che tutto il lavoro fatto dovesse andare distrutto: la grandine!

Li cannizzi cu li fichi spaccati allu soli cu siccaunu meiu venivano poi venduti ai commercianti ambulanti dell’epoca e rappresentavano un piccolo reddito nelle nostre famiglie.La vendemmia era seguita dalla vendita dell’uva, le mamme savesi decurtavano subito una parte di quei proventi per preparare la tota alle proprie figlie! Le ragazze  iniziavano a imparare il   ricamo, oltre a pungersi le dita  con gli aghi, le nuove profumatissime  lenzuola di cotone grosso erano piene di sogni coloratissimi e in sintonia con tutto il ricamo.

La campagna, in genere, allepoca, era molto importante, per tutti noi, perché si “mangiava”: pomodori, peperoni, fichi, fichi d’India, uva, riempivano le nostre pance vuote e sempre affamate.

Le nostre mamme ci condivano le “acqua e sale” nei piatti smaltati, ci scorpacciavamo di fichi d’India (con qualche problema   successivo!), l’uva era dolcissima ( “lua crossa”, la nostra baresana) e il sapore dei fichi, specie di quelli “uttati”, erano di una dolcezza e squisitezza indecifrabile!

Il sole batteva cocente e dalle 10 in poi la terra sotto i nostri piedi nudi, morbidi e in crescita ma bucherellati da “asapieti”, si trasformava in terra ardente e bollente! Le ragazze dell’epoca, molto più adulte di noi,  vedevano il proprio corpo trasformarsi, sentivano il tono della propria voce più adulta, ed erano in preda ai mille “perché” senza le giuste risposte.

Genitori pieni di ignoranza ma ricchi di umiltà e noi ragazzini che cominciavamo a capire che non erano più le cicogne che portavano i figli!

Il nostro paese si trasformava lentamente, la transizione sembrava quasi forzata, sentivamo le radioline, per chi le aveva, ci compravamo a sessantacinquelire da Egidio Zanzarella il libricino che riportava tutte le canzoni de “Un  disco per l’estate” e cantavamo in compagnia.

I nostri pantaloncini erano spesso rattoppati e le magliettine di cotone che ci compravano per l’estate erano sempre a strisce orizzontali con fondo blù: questo era il nostro periodo estivo, le nostre vacanze savesi. “Lisa dagli occhi blù” di Mario Tessuto, “Guarda” dei Rogers e “Un’ora sola ti vorrei” degli Showmen erano le canzoni che spesso cantavamo, modificando alcune frasi originali. Quasi tutta Sava si spostava in campagna: li Pitrosi, Scersa, li Scàuni, li Tarantini, Pani persu, li Cerini, la Lamia, Silea, Coppula, Cicimaia, li Muenici, la Carrara ti mari, ma Archignano era il fiore all’occhiello!

Le biciclette degli adulti facevano su e giù moltissime volte da Sava, “li traenuri e li sciaraballi” erano i mezzi di locomozione più evoluti, le macchine si contavano su di un palmo di mano, allora le nostre mamme quando uscivamo fuori ci dicevano:” Mi raccumannu cu nno cappati sotta a nna bicicletta”!

Guardavamo con gli occhi spalancati la bellezza dei cavalli, un pò meno quella degli scalcinati asini, con un occhio di malizia: le “uijne” dei proprietari erano pronte a scudisciare i poveri equini, tralasciando, tra l’altro, tutta la strada sporca di rifiuti organici dell’animale! Archignano era sempre lì con le mille lucciole che brillavano la sera sulle pampane delle viti e rubava la nostra curiosità: i giovanotti che passeggiavano e incrociavano gli sguardi arrossiti delle ragazze!

Quelli erano i tempi, quelli erano i luoghi, quella era la nostra infanzia estiva savese! Archignano era una finestra sempre aperta e noi provavamo a guardare il mondo, da quella finestra, senza conoscerlo per niente!

I suoi binari, il rumore dei treni, la puzza del carbone della locomotiva, gli abbracci che si davano i partenti e le lacrime che si versavano, e noi piccoli a guardare queste scene! Archignano era la partenza verso il futuro: per molti di noi, la stazione ferroviaria, un giorno o l’altro, ci avrebbe portato via da Sava!

Oggi, a distanza di molte generazioni che si sono succedute, vederla così fa un pò di tristezza, il mondo è cambiato totalmente in tutti i mezzi di trasporto, come tutte le cose, quando invecchiano, presentano delle rughe e delle piccole lesioni, ma Archignano è ancora lì! Anche in disuso, sfoggia tutta la bellezza dell’epoca e tutt’oggi, sulle pareti della stazione, vi sono ancora incise frasi di amore eterno, date indimenticabili di partenze o di avvenimenti, che nessuno potrà mai cancellare!

Ciao Archignano! Sogno di speranza di  tutti noi savesi!

Giovanni Caforio

viv@voce

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