Migranti e risarcimento del danno. Non va ridotta la liquidazione solo perché i parenti dell’extracomunitario vittima dell’incidente stradale vivono all’estero
La Cassazione chiarisce l’orientamento bacchettando le corti e le compagnie assicurative che discriminano
Un chiarimento importante in merito al diritto al risarcimento del danno ai prossimi congiunti di vittime di sinistri stradali in Italia, ma che risiedono all’estero, arriva dalla Suprema Corte con la sentenza 20206/16, pubblicata il 7 ottobre, che non usa mezzi termini nel ritenere «Giuridicamente illogiche», se non «discriminatorie» le liquidazioni dei danni applicate in misura ridotta da compagnie assicurative e da alcune corti territoriali in ragione dell’assurdo criterio della non residenza in Italia e sol perché in un paese in via di Sviluppo l’euro varrebbe più che nel Nostro Paese.
E’ vero che una parte della risalente giurisprudenza di Cassazione aveva espresso il principio secondo cui nel determinare in via equitativa il ristoro della lesione morale «non è errato» tenere conto delle realtà socio-economiche in cui vive il danneggiato.
Ma tale orientamento è stato ampiamente superato dal principio, senz’altro giusto, che l’utilizzo del risarcimento, e dunque il luogo dove saranno spesi i soldi, costituisce un elemento esterno rispetto all’illecito aquiliano: il danno da perdita parentale deve essere, quindi, sempre liquidato sulla base dei criteri italiani e quindi delle tabelle milanesi generalmente applicate.
I giudici della terza sezione civile della Suprema corte hanno, infatti, accolto il ricorso dei parenti delle vittime, morti come terzi trasportati nel sinistro. Per gli ermellini ha errato la Corte d’appello di Bari che faceva riferimento ad una precedente sentenza di legittimità vecchia di sedici anni (sentenza 1367/00), cui era poi seguito il nuovo e più recente opposto orientamento (7932/12). Appare illogico, tra l’altro il principio che giustificherebbe la decurtazione sul rilievo che il pretium doloris «assume sempre connotazioni economiche».
Ricorda piazza Cavour che nella responsabilità extracontrattuale gli elementi fondamentali sono tre: condotta illecita (dolosa o colposa); danno; nesso causale fra essi. E solo queste circostanze possono incidere sulla determinazione del risarcimento, mentre il luogo dove il danneggiato vive – e presumibilmente spenderà i soldi ottenuti – costituisce un elemento successivo che quindi non può incidere sulla quantificazione del ristoro.
La lesione da perdita parentale, d’altronde, è un danno non patrimoniale rispetto al quale il risarcimento costituisce sempre una fictio che mai può restituire il bene perduto ma rappresenta soltanto l’unica modalità giuridicamente possibile per attestare il valore della persona scomparsa. Sono gli stessi principi costituzionali a escludere che alla persona in sé si possa imporre «come parametro per il risarcimento per equivalente della sua perdita il valore della moneta con cui viene concretizzato nel luogo dove risiede chi tale perdita ha subito».
Si applicando, quindi, le tabelle di Milano, oltre all’eventuale personalizzazione del danno.
Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, associazione che tra le sue molteplici attività, da anni difende le vittime ed i prossimi congiunti di sinistri stradali, si tratta di un’importante decisione che segna un’importante conferma in materia e che chiarisce definitivamente l’impossibilità di discriminare il cittadino immigrato vittima di sinistro ed i suoi parenti quando si tratta di liquidare i danni dagli stessi subiti.